lunedì 23 settembre 2013
Le ossessioni
Ma cosa accadrebbe se, ad esempio, fossimo costretti a controllare il gas venti o trenta volte al giorno? Se tutta la nostra giornata fosse impegnata a riflettere sull'atroce dubbio di aver chiuso o meno la porta a chiave prima di andare a lavoro? Oppure come faremmo se per qualche motivo non potessimo fare a meno di lavarci le mani ogni qual volta tocchiamo un oggetto esterno a quelli della nostra abitazione?
In psicologia, questi pensieri ripetitivi e assillanti e i comportamenti che ne scaturiscono vengono rispettivamente chiamati Ossessioni e Compulsioni. Le Ossessioni sono pensieri ripetitivi, continui, i quali, sebbene avvertiti dal soggetto pensante come inutili, insensati e angoscianti, non possono essere interrotti, pena una angoscia enorme, o la tremenda sensazione che potrebbe accadere qualcosa di spiacevole. Le compulsioni, d'altro canto, sono le azioni ripetitive che scaturiscono da questi pensieri (come ad esempio lavarsi la mani, pulire in modo estremamente approfondito, recitare una filastrocca o una frase-tipo di fronte a certi eventi). Come avrete potuto facilmente intuire, queste manifestazioni della vita psichica sono estremamente invalidanti, poichè tendono a monopolizzare l'attenzione e il tempo della persona che le sperimenta, fino ad intaccare gravemente, nei casi più severi, la sua vita sociale e lavorativa.
Se volete un buon esempio di un carattere ossessivo-compulsivo, potete guardare Nicholas Cage nella sua splendida performance del film "Il genio della truffa".
Tornando a noi, penso che a questo punto la domanda sia ovvia: cosa nasconde a livello psichico tutto ciò?
Per rispondere (in parte, come sempre, poichè ogni essere umano è unico!) bisogna fare ancora una volta riferimento a Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, che iniziò a ragionare sulle ossessioni in modo molto singolare:
Una volta, il neurologo viennese fu invitato da una parente a casa, e si ritrovò a badare al figlio piccolo di lei mentre la padrona di casa era fuori per fare acquisti. Curiosamente, Freud notò che il bambino non faceva altro che giocare in modo ripetitivo con un gomitolo di lana, lanciandolo contro il muro e ritirandolo a sè, altalenando il tutto con una piccola cantilena.
Freud non potè fare a meno di chiedersi come fosse possibile che il bambino giocasse per così tanto tempo a un gioco tanto noioso, senza mostrare alcun segno di impazienza o senza desiderare di cambiare attività. Fu allora che gli venne in mente una ipotesi semplice quanto importante: evidentemente, si disse, il bimbo era così angosciato dalla momentanea scomparsa della mamma che usava questo movimento rituale per non sentire l'ansia, per occupare la sua mente, in modo da esorcizzare la paura. Come previsto, infatti, quando la mamma tornò a casa il gioco cessò immediatamente.
Questa ipotesi freudiana, sebbene elaborata e integrata dai suoi successori, è rimasta sostanzialmente valida: le ossessioni e le compulsioni servono a scacciare dalla mente contenuti inaccettabili alla coscienza, vere e proprie "bombe" che potrebbero destabilizzare l'individuo con un disturbo ossessivo. Ma di cosa si tratta esattamente? Cosa può esserci di così terribile sepolto nell'inconscio di queste persone da giustificare un tormento simile?
Freud sosteneva che si trattasse di desideri sessuali repressi, a cui non poteva essere data voce, specie per quanto riguarda tentativi di masturbazione segreti e inconfessabili, che scatenavano grandi sensi di colpa e di punizione. A mio modesto parere, questo poteva essere sicuramente plausibile nel 1930, con una società caratterizzata da una morale sessuale rigida e severa, ma oggi, nel 2013, dobbiamo sicuramente passare oltre e chiederci se l'aspetto erotico non sia solo una punta di un iceberg.
Vi sono sicuramente ancora questi aspetti legati alla sessualità, tuttavia nella pratica clinica ho avuto modo di osservare che spesso le ossessioni sono usate come un disperato "collante" di una personalità molto fragile, che rischia di precipitare verso la psicosi, o verso una profonda frattura dovuta ad angosce esistenziali. La tematica principale delle ossessioni è il controllo, e da che mondo è mondo si mettono in atto modalità di controllo se la paura principale è l'anarchia, il caos: si pensi, ad esempio, ai vari regimi totalitari moderni e del passato, dove uno stretto controllo da parte di esercito, polizia e burocrazia era funzionale alla sistematica repressione delle "voci fuori dal coro", che con le loro idee avrebbero potuto far crollare il governo e sovvertire l'ordine sociale.
Cosa si può fare allora, di fronte a questa prospettiva, per aiutare le persone che soffrono di ossessioni? La chiave è, innanzitutto, la relazione: di fronte a questa angoscia, una persona ossessiva farà di tutto, inconsciamente, per non abbandonare le sue ossessioni, che gli rendono la vita impossibile ma almeno lo proteggono. Egli deve quindi imparare a fidarsi del terapeuta, prima di poter parlare delle sue angosce sottostanti. Quest'ultimo farà in modo di accompagnare il paziente verso il suo percorso terapeutico, rafforzandone l'Io in modo da non renderlo così esposto alle angosce sepolte e minacciose che lo spaventano. Le terapie con i pazienti ossessivi di solito sono lunghe, ma c'è ampio margine per rendere la vita di queste persone meno angosciante e più ricca, sia socialmente che a livello "interno".
Ah, un ultimo appunto: se qualcuno di voi si è riconosciuto nei piccoli rituali ossessivi descritti a inizio articolo, niente paura!Non vuol dire che siete malati, significa solo che, come ribadirò molte volte, la mente umana è un continuum, laddove certe manifestazioni assumono significato patologico soltanto se rendono la vita difficile, altrimenti si tratta di innocui "tratti di personalità"...ma di questo parleremo più in là!
Un saluto!
martedì 17 settembre 2013
Riapertura blog
Un saluto
Giuseppe
mercoledì 27 ottobre 2010
Il sogno parte I
Ogni notte miliardi di esseri umani sognano, senza eccezioni. Che questo avvenga ad una persona in Australia, in America, in India o in Italia non fa differenza: tutti siamo accomunati da questa stupefacente esperienza collettiva. Si sogna sempre, ogni notte, anche più di una volta. Ma che cos'è un sogno? La domanda, anche se semplice, ha una complessità di risposta enorme. La psiconeurofisiologia individua nel sogno un processo mentale proprio del nostro cervello, che nella fase del sonno denominata REM (rapid eyes movement) assume caratteristiche di straordinaria vivacità e nitidezza, pur mantenendo le costanti di irrealtà e di irrazionalità che tanto ci sono familiari.
I sogni, tuttavia, sono ben altro che semplici "immagini di scarico" prodotte dal nostro cervello che riposa. La sgradevolissima sensazione che proviamo ad esempio dopo un incubo o il piacere provato in certi attimi in cui siamo immersi in una scena onirica a sfondo sessuale non possono non farci supporre che dietro ai sogni vi sia una carica affettiva molto forte. E che dire di quella strana sensazione che ci assale, a volte, al risveglio e a cui non sappiamo dare di preciso un nome?
Lo studio dei sogni è qualcosa di antico, di vetusto. Sigmund Freud ha solo analizzato con rigore scientifico qualcosa sulla quale gli astrologi babilonesi già si interrogavano, e che gli Auguri romani sfruttavano per predire il futuro. Naturalmente, le conclusioni e i postulati teorici di Freud non avevano nulla del vaticinio degli antichi sacerdoti, ma in ogni caso mettevano nero su bianco il fatto che il sogno fosse una delle porte che permettevano di accedere ai meandri più nascosti dell'animo umano.
Quale senso dare, allora, all'intricato groviglio di immagini presenti nella nostra produzione onirica? La risposta è molto personale, varia in ognuno di noi, tuttavia è universalmente accettato nel mondo psicoanalitico e psicodinamico in generale che le immagini presenti nei sogni siano il frutto di una deformazione, operata dalle difese psichiche al servizio delle nostre istanze morali, e in particolar modo dei meccanismi di difesa chiamati Spostamento e Condensazione. Mentre dello Spostamento abbiamo già parlato in un post precedente, riguardo alla Condensazione possiamo dire che è un meccanismo secondo il quale due o più immagini possono fondersi in un unico oggetto.
Così, ad esempio, se sognamo di essere inseguiti da un lupo, possiamo sia esprimere a livello simbolico una rielaborazione di un ricordo del passato (nel quale magari un cane o un altro animale ci ha attaccato) sia parlare di alcuni aspetti minacciosi che una figura del passato dotata di autorità, come ad esempio nostro padre, aveva.
Carl Gustav Jung ha ulteriormente ampliato il discorso, affermando che in ogni sogno esiste una dimensione oggettiva e una dimensione soggettiva: ogni particolare di un sogno riguarda sia un avvenimento che ha a che fare con qualcosa "altro da me" sia con qualcosa che è "me". Tornando all'esempio del lupo, potremmo riferirci sia all'episodio dell'aggressione di un cane sia a un nostro aspetto "lupo", ovvero minaccioso, notturno e predatore.
Il discorso sui sogni, "via regia per l'inconscio" come diceva Freud, è lungo e complesso, e pertanto merita una trattazione più ampia. Nel prossimo post posterò un esempio di sogno e di analisi di esso, preso da qualche opera letteraria, e cercherò di commentarne i punti più importanti.
Alla prossima!
giovedì 14 ottobre 2010
La struttura della mente parte III
venerdì 8 ottobre 2010
La struttura della mente parte II
lunedì 4 ottobre 2010
La struttura della mente parte I
Molto spesso, di fronte ad azioni che commettiamo senza pensarci (come i lapsus), di fronte ad un sogno molto bizzarro o davanti a delle opere d'arte o film che riescono a toccarci in fondo nonostante non abbiano nulla di apparentemente "speciale", non riusciamo a non chiederci:"Ma come è possibile?" oppure "Da dove viene questo mio sentimento?".
La risposta a questi interrogativi è, naturalmente, dentro di noi. La mente umana è concepita in modo da contenere una miriade di ricordi e di informazioni, molte delle quali non raggiungono la soglia della coscienza: tutto ciò, anche se a prima vista sembra un male, in realtà è assolutamente necessario.
Provate a pensare, infatti, a come sarebbe dura la vita se dovessimo catalogare tutte le informazioni presenti in ogni momento della nostra vita: volendo fare un esempio, pensiamo a una scena tipo, come il fatidico giorno di un esame. Immaginate solo come sarebbe difficile rispondere alle domande del professore se dovessimo fare i conti a livello cosciente con l'immensa mole di informazioni presenti nell'aula,comprese la temperatura atmosferica e il tasso di umidità dell'aria, il colore dei vestiti di ognuno e il tipo di pettinatura o la traiettoria delle 3 mosche presenti. Impossibile, vero?
Ecco perchè il nostro cervello "archivia" le informazioni trascurabili e ci permette di gestire solo quelle che passano oltre la soglia della coscienza (che è ben specifica, e muta, anche, a seconda del contesto). Ma dove finiscono queste informazioni? La risposta è all'apparenza semplice: vengono immagazzinate in ogni caso nella nostra mente, in uno spazio di non consapevolezza.
Questo spazio al di fuori della coscienza non è però come il nostro ripostiglio di casa, ovvero un deposito di cianfrusaglie inutili o mezze rotte che apriamo solo a Natale per prendere l'albero, ma è un luogo vastissimo, in perenne azione e movimento, con leggi che sfuggono alla logica e che rimescolano e rimpastano questi elementi "rimossi", in una continua trasformazione.
Questo luogo, che in psicodinamica viene definito "Inconscio" o "Es", è molto superiore alla nostra parte cosciente, e molto spesso ne determina le azioni e i desideri. Le forze che si trovano al suo interno non sono, infatti, semplici dettagli trascurabili, ma anche oggetti molto dolorosi che abbiamo dovuto accantonare al di fuori della coscienza per non soffrirne, desideri inaccettabili per la nostra struttura morale e anche potenzialità nascoste. Questo discorso, come vedremo in seguito, è cruciale per comprendere l'eziologia di moltissime malattie psichiatriche.
mercoledì 7 ottobre 2009
La percezione
Tutto ciò avviene grazie al meccanismo della percezione che si occupa di elaborare, organizzare e rielaborare gli stimoli provenienti dall'interno e dall'esterno del nostro corpo. Essa opera tramite gli organi di senso (per noi umani principalmente la vista) e ha lo scopo di dare un senso e un ordine alla realtà. La percezione va innanzitutto distinta dalla sensazione, che è una impressione immediata e semplice di un cambiamento nell'ambiente circostante.
Tuttavia, ciò che percepiamo ogni giorno, dagli odori ai colori per finire alle forme, non è assolutamente lo specchio fedele della realtà oggettiva che ci circonda: ad esempio, si prendano i raggi UV o le onde radio, che non possiamo vedere ma che oggettivamente esistono. Allo stesso modo, non possiamo vedere il calore, cosa che fanno molti animali, sebbene moltissime cose in natura, a cominciare dagli esseri viventi, siano fonti di esso, per non parlare poi delle celeberrime illusioni ottiche che possiamo trovare ogni giorno in rete o sui giornali.
Come facciamo a sapere quindi, ad esempio, che il rosso è realmente rosso? Esiste nella razza umana uno spettro di percezioni grosso modo simili tra tutti noi (ad esempio, condividiamo tutti lo stesso spettro di colori, nessuno potrà mai vedere l'ultravioletto)che ci permettono di condividere in linea di massima con gli altri le nostre esperienze percettive.
Durante il corso degli anni, moltissimi studiosi si sono appassionati al fenomeno, teorizzando molti modelli atti a spiegare il funzionamento della percezione. Gli studiosi della corrente del New Look, ad esempio, affermarono che le percezioni sono legate alle emozioni e che quindi ogni forma che percepiamo ha per noi un valore affettivo, personale e sociale. La percezione delle forme è quindi influenzata dal contesto sociale e dal vissuto personale di ognuno di noi e possono variare, non essendo innate, da un soggetto ad un altro. Per intenderci, la percezione di una croce per una persona di religione cristiana avrà tutt'altra importanza che per una persona musulmana o buddhista.
Di tutt'altro avviso sono gli studiosi della corrente Gestalt, che con Kohler e Wertheimer ipotizzano una serie di regole predefinite che la percezione segue quando interagisce con l'ambiente che ci circonda, affermando di fatto il carattere innato di tale funzione, che opera secondo regole ben definite sulla base della separazione della figura dallo sfondo. Queste regole sono
1)Buona forma (la struttura percepita è sempre la più semplice)
2)Prossimità (gli elementi sono raggruppati in funzione delle distanze)
3)Somiglianza (tendenza a raggruppare gli elementi simili)
4)Buona continuità (tutti gli elementi sono percepiti come appartenenti ad un insieme coerente e continuo)
5)Destino comune (se gli elementi sono in movimento, vengono raggruppati quelli con uno spostamento coerente).
6)Figura-sfondo (tutte le parti di una zona si possono interpretare sia come oggetto sia come sfondo).
7)Movimento indotto (uno schema di riferimento formato da alcune strutture che consente la percezione degli oggetti).
8)Pregnanza (nel caso gli stimoli siano ambigui, la percezione sarà buona in base alle informazioni prese dalla retina).
Al di là delle due teorie e di tutte le altre che si sono avvicendate nel corso degli anni,l'unica convinzione condivisa è che la percezione è uno strumento indispensabile per la conoscenza della realtà e che sia l'unica via che ci permette di essere in contatto con l'altro e con il nostro mondo interiore